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Quando l’empatia diventa fusione: come restare presenti accanto ai nostri figli

Aggiornamento: 20 giu

Sentire l’altro è un dono. Perdersi in ciò che sente… è un rischio. E molti genitori non se ne accorgono nemmeno.


Qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio che mi ha toccata molto. Una mamma mi raccontava che sua figlia, 11 anni, è una bambina solare, ma quando sta male… lei sta peggio. Quando si arrabbia… anche la sua giornata è rovinata. “Credo sia perché sono molto empatica”,

mi ha scritto. Ecco, da lì è iniziato uno scambio che mi ha portata a scrivere questo articolo.


Perché capita spesso: confondiamo l’empatia con qualcosa che, in realtà, empatia non è. Qualcosa che ci fa perdere il nostro centro, che ci trascina giù proprio mentre stiamo cercando di sostenere qualcuno.


essere travolti dalle emozioni dei nostri figli
Empatia o fusione emotiva

E se ti va puoi anche ascoltare la puntata del podcast dove approfondisco questo argomento.



Indice dei contenuti


1. Empatia: cosa significa davvero?

Il termine empatia ha radici nel greco antico: en-pathos, che significa letteralmente “sentire dentro”. Non è semplicemente comprendere l’altro, ma entrare in risonanza con la sua esperienza emotiva, senza però perdere la propria.

L’empatia è un ponte. Ci permette di riconoscere e accogliere le emozioni altrui, mantenendo allo stesso tempo una base solida da cui osservare, ascoltare, accompagnare. È una capacità preziosa che nutre il legame tra genitori e figli… ma solo se resta bilanciata.


2. Quando il confine si rompe: la fusione emotiva

Il rischio si manifesta quando questo “sentire insieme” supera il limite e diventa fusione emotiva.

Nel contesto relazionale, significa che il confine tra me e te si dissolve. Non ci sono più due soggetti distinti, ma un’emozione condivisa che annulla l’identità di chi accompagna.

Quando un genitore vive la rabbia, la tristezza o la frustrazione del figlio come se fossero proprie, non è più in grado di offrire contenimento. L’altro non si sente più visto. Si sente assorbito.


3. Gli effetti sulla relazione con i figli

Da fuori può sembrare amore. Ma chi lo vive da dentro, spesso, si sente invisibile.

I bambini e i preadolescenti, in particolare, hanno un bisogno profondo di sapere che l’adulto è solido, stabile, capace di reggere. Se invece vedono riflessa nei nostri occhi la paura, il disorientamento o il dolore, possono iniziare a pensare: Non posso mostrarmi per come sono, perché potrei ferirla/o.”

E così si trattengono. Oppure, al contrario, diventano sempre più “esplosivi” nel tentativo inconscio di trovare un contenitore che tenga.


4. L'empatia radicata: una nuova postura interiore

Non è sbagliato sentire. È umano, è naturale, è ciò che ci connette. Ma quando l’emozione dell’altro diventa più forte della tua presenza, qualcosa si rompe.

Smetti di essere un punto fermo, e diventi tu stessə un’onda. E a quel punto, tuo figlio non sa più dove aggrapparsi.

Lo so, può sembrare paradossale: “ma io sto soffrendo con lui, non per lui?” Sì. Ma proprio per questo, il messaggio che riceve non è “sono qui per te”. È “sto male anche io, e non so se riesco a reggere”.

E quando i figli sentono che siamo fragili, iniziano – inconsapevolmente – a proteggerci. A non dirci più certe cose. A nascondere. A trattenere.


C’è un’altra forma di empatia.Una forma che non si piega, non crolla, non inghiotte. È quella che io chiamo empatia radicata.

Un modo di esserci pienamente, con cuore aperto, ma senza perdere la propria centratura. Una presenza solida, non rigida. Calda, ma stabile.

Un po’ come mettere a fuoco una foto: se siamo troppo vicini, vediamo solo una macchia confusa. Solo prendendo la giusta distanza l’immagine si chiarisce. Così è con le emozioni: solo restando ben piantatə in noi stessə possiamo davvero aiutare l’altro a comprendere ciò che sente.


Un piccolo esercizio per tornare al tuo centro


Ti propongo una riflessione semplice, ma potente. Se ti va, prenditi qualche minuto oggi. Bastano carta, penna e un po’ di silenzio.

  1. Ripensa a una situazione recente in cui ti sei sentitə emotivamente travoltə da tuo figlio.

  2. Chiediti con sincerità:“Quello che stavo sentendo… era mio, o era suo?”

  3. Scrivi una frase che ti aiuti a rimanere radicata la prossima volta che succede.Qualcosa come: “Sono in grado di reggere la sua emozione. Io sono l’adulto.”

Potrebbe sembrarti poco. Ma quella frase, detta nel momento giusto, può riportarti a casa.


Un passo alla volta: se vuoi allenarti a restare presente


Essere un genitore centrato non è una dote innata. È un allenamento. Un passo alla volta, ogni giorno. Per questo ho creato Talea: un percorso di autocoaching che dura 90 giorni e ti accompagna, ogni mattina, con una piccola proposta, una domanda, un esercizio.

Non serve avere ore di tempo. Serve solo la voglia di conoscersi meglio e imparare a essere quel punto fermo che tuo figlio cerca quando la vita lo agita.


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E se ti è piaciuto questo articolo, puoi condividerlo con un’altra mamma o un altro papà che, come te, sta cercando di crescere… senza perdersi.


A presto,

Giada


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Ti aspetto!

Giada



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