Quando le nostre ferite influenzano il rapporto con i figli preadolescenti
- Giada Vettorato
- 4 giorni fa
- Tempo di lettura: 5 min
Capire la differenza tra proiezione e protezione per crescere figli sereni
Qualche tempo fa ho avuto una conversazione con una mia cara amica. Mi parlava di sua figlia preadolescente, una ragazza che io conosco da quando è nata e che possono con tranquillità descrivere come una ragazzina a modo e molto dolce. A scuola va bene, ha un bel gruppo di amici, appassionata di pallavvolo.. insomma nulla che lasciasse presagire problemi particolari. Eppure la preoccupazione della mamma era che la figlia potesse escludere gli altri, potesse diventare una bulla.
Quello che condizionava la mia amica era una ferita antica della sua storia personale. Barbara (nome inventato), da adolescente, aveva vissuto ingiustizie, isolamento, la sensazione di non appartenere al gruppo dei pari. Derisa ed emarginata. Oggi, da madre, quella esperienza riaffiora e influenza il suo sguardo e la porta a intervenire mettendo a repentaglio la relazione con sua figlia.
Questa conversazione mi ha fatto pensare a quanto spesso noi genitori non vediamo davvero i nostri figli per quello che sono, ma attraverso le lenti della nostra storia. E quanto sia importante imparare a distinguere tra ciò che appartiene a noi e ciò che appartiene a loro. In questo articolo parliamo di questo.

Indice dei contenuti
1. Proiezione: quando vediamo nei figli la nostra storia
La psicologia usa una parola precisa per descrivere questa dinamica: proiezione.
Proiettare significa attribuire a qualcun altro pensieri, emozioni o intenzioni che in realtà nascono in noi.
È come se portassimo sulle spalle uno zaino pieno dei nostri ricordi, paure e ferite. Quando proiettiamo, senza accorgercene, finiamo per consegnare quello zaino ai nostri figli, chiedendo a loro di portarne il peso insieme al proprio.
Un genitore che ha avuto un rapporto difficile con il proprio corpo può diventare molto sensibile all’alimentazione del figlio: nota ogni piccolo aumento di peso, controlla se mangia abbastanza verdura, teme che possa sviluppare lo stesso problema. Ma quella attenzione, spesso, dice più del genitore che del figlio.
Un genitore che a scuola ha subito bullismo può diventare iperattento ai rapporti sociali del figlio: se resta a casa un pomeriggio pensa subito che sia stato escluso, se litiga con un compagno teme scenari drammatici. In realtà, quello che sta accadendo non sempre ha il peso che gli attribuiamo.
In quei momenti non distinguiamo più ciò che appartiene a nostro figlio da ciò che appartiene a noi.
2. Quando perdiamo di vista chi abbiamo davanti
Il rischio della proiezione è che smettiamo di vedere i nostri figli per come sono davvero.
Se tua figlia si chiude in camera magari ha semplicemente bisogno di ascoltare musica o di stare un po’ per conto suo. Se tua figlia salta un pasto, puoi temere che abbia un disturbo alimentare, quando forse ha solo mangiato troppo a merenda.
Le reazioni sproporzionate sono segnali preziosi: ci rivelano che non stiamo reagendo al comportamento reale del figlio, ma a qualcosa che appartiene alla nostra storia.
3. Come distinguere tra paura reale e ferita del passato
Una domanda semplice ma potente può aiutare:
“Quello che sento in questo momento riguarda davvero mio figlio, qui e ora, o riguarda una parte di me che sta tornando a galla?”
La proiezione accade quando un genitore interpreta i comportamenti del figlio non per quello che sono, ma attraverso le proprie esperienze passate. Non stiamo più osservando la realtà di nostro figlio, ma leggiamo i suoi gesti con gli occhi delle nostre ferite.
La protezione, invece, nasce dall’ascolto del presente. Significa riconoscere un pericolo reale e intervenire in modo concreto: dare un confine, offrire strumenti, esserci come presenza sicura.
La proiezione si attiva quando una paura del passato ingigantisce ciò che accade oggi. Ad esempio: se un genitore da ragazzo ha vissuto l’esclusione, può temere che ogni piccolo litigio del figlio in preadolescenza sia il segnale di un isolamento. In realtà, spesso si tratta solo di dinamiche normali tra coetanei.
Ecco perché è importante distinguere:
Protezione = paura legata al presente, risposta concreta al bisogno del figlio.
Proiezione = paura che nasce dal passato del genitore e che rischia di condizionare la relazione.
Imparare a fare questa differenza è un passo decisivo per tutte le mamme e i papà con figli in preadolescenza che vogliono costruire un rapporto più autentico e sereno.
4. Perché accade così spesso ai genitori di preadolescenti
I nostri figli, soprattutto in preadolescenza, sono specchi potentissimi. Ci rimandano indietro parti di noi che non sempre abbiamo elaborato: fragilità, esperienze di esclusione, dolori che pensavamo superati.
Dal punto di vista psicodinamico, questo accade perché la mente tende a “proiettare” all’esterno ciò che fatica a riconoscere dentro di sé. La proiezione è un meccanismo di difesa: invece di contattare direttamente emozioni difficili come la paura, la rabbia o la vergogna, le attribuiamo a qualcun altro. Nel caso dei genitori, molto spesso proprio ai figli. Questo processo avviene in modo inconscio: non scegliamo di farlo, ma ci serve a ridurre momentaneamente l’ansia che proviamo.
Il problema è che, così facendo, rischiamo di non vedere più chi abbiamo davanti. Confondiamo i loro bisogni con i nostri ricordi e finiamo per reagire più al nostro passato che al loro presente. Pensiamo di proteggerli, ma in realtà stiamo cercando di proteggerci dal rivivere quel dolore.
Il punto è che non possiamo chiedere ai nostri figli di guarire le nostre ferite. Possiamo solo riconoscere ciò che ci appartiene e tenerlo distinto da ciò che appartiene a loro.
La prossima volta che senti nascere un’ansia forte, prova a fermarti un attimo e chiederti:
Questa paura appartiene davvero a lui, o a me?
Sto cercando di proteggerlo da un pericolo reale o da un dolore che io ho già vissuto?
Se smettessi di proiettare, chi vedrei davvero davanti a me in questo momento?
Queste domande ti aiutano a tornare a guardare i tuoi figli con occhi più liberi.
5. Conclusione
La differenza tra proiezione e protezione è sottile, ma fa tutta la differenza.
Proteggere significa esserci davvero per i nostri figli, con ascolto e presenza. Proiettare significa guardare noi stessi riflessi in loro, rischiando di non vedere più chi abbiamo davvero davanti.
E allora l’invito è questo: ogni volta che senti una paura salire, fermati e domandati se stai guardando il tuo passato o il suo presente. Perché è lì, in quello sguardo che sa distinguere, che nasce la possibilità di una relazione autentica, libera e davvero protettiva.
6. Fonti e approfondimenti
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👉 Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore.
👉 Siegel, D. J., & Hartzell, M. (2014). Intelligenza emotiva per un figlio. Milano: Raffaello Cortina Editore.
👉 Gopnik, A. (2018). Il giardiniere e il falegname. Milano: Feltrinelli.
👉 Erikson, E. H. (1993). Identità e ciclo di vita. Roma: Armando Editore.
👉 American Psychological Association (2023). Projection. Disponibile su: https://www.apa.org/topics/personality/projection
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