Tuo figlio non è rotto
- Giada Vettorato
- 23 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 24 lug
Ma il paziente designato della tua famiglia
Succede spesso, in molte famiglie, che un figlio — solitamente nel delicato passaggio tra infanzia e adolescenza — venga percepito come il punto critico, come l’elemento che destabilizza l’equilibrio, che richiede attenzioni particolari, che mette alla prova la tenuta della quotidianità. È quello che “non si comporta bene”, che “sta sempre sulle sue”, che “non riesce a gestire le emozioni”, o che al contrario esprime il disagio con comportamenti esplosivi e difficili da decifrare. E così, in modo spesso inconsapevole, si finisce per attribuirgli il ruolo del “problema”, come se fosse una parte mal funzionante di un meccanismo familiare altrimenti efficiente.
Ma questa visione, sebbene sia molto diffusa, affonda le radici in un modello culturale e scientifico che oggi sappiamo essere inadeguato a comprendere la complessità delle relazioni umane. La famiglia, infatti, non è una macchina con pezzi da sostituire, ma un sistema dinamico, complesso e interdipendente — un organismo vivente in cui ogni parte influisce e viene influenzata dalle altre.
In questo articolo esploreremo insieme:
la differenza tra una visione meccanicistica e una visione sistemica della famiglia;
il concetto di paziente designato, fondamentale nella psicologia relazionale;
il valore dell’intervento sul sistema famiglia, e non solo sul singolo;
le implicazioni pratiche di questo approccio nella relazione genitori-figli;
alcune risorse per approfondire.

Indice dei contenuti
1. La visione meccanicistica della famiglia: un’eredità culturale da superare
Per comprendere perché oggi parliamo di famiglia come sistema, è necessario fare un passo indietro e osservare da dove viene l’idea che i problemi possano essere isolati e “aggiustati”. Questa visione ha una lunga storia: nasce nel contesto della scienza moderna, a partire da Cartesio, Newton, Galileo Galilei e il pensiero positivista, che descrivevano la realtà come un insieme di elementi scomponibili, misurabili e trattabili separatamente.
In questo paradigma, un figlio che manifesta un disagio viene visto come un’anomalia da correggere, una “variabile impazzita” che dev’essere riportata all’ordine. Ma questo modo di intendere i legami umani ha un limite enorme: non tiene conto delle connessioni. Le emozioni, i comportamenti, le reazioni non emergono nel vuoto, ma all’interno di un contesto relazionale ricco di influenze reciproche.
2. Dalla macchina all’organismo: la famiglia come sistema vivente
A partire dagli anni ’50 e ’60, con lo sviluppo della terapia familiare e della cibernetica, si afferma un nuovo modo di guardare alle dinamiche relazionali: la famiglia viene intesa come un sistema complesso, in cui ogni membro è interdipendente dagli altri. Questo approccio, chiamato teoria sistemico-relazionale, vede la famiglia come un organismo vivente, non come una macchina.
Ogni comportamento problematico, ogni sintomo, ogni crisi — anziché essere attribuito a un singolo individuo — viene analizzato nel suo contesto, come espressione di un equilibrio relazionale che sta cercando una nuova forma. È proprio qui che entra in gioco il concetto di paziente designato.
3. Chi è il paziente designato? Il portavoce del sistema
Nel linguaggio della psicologia familiare, il paziente designato è colui che manifesta apertamente un disagio — spesso attraverso sintomi comportamentali, emotivi o scolastici — e che per questo viene identificato come il problema da “curare”. Ma, come ci ricorda la teoria sistemica, questo ruolo non è casuale né arbitrario: il paziente designato esprime una sofferenza che riguarda l’intero sistema familiare.
È come se quel figlio diventasse il portavoce — spesso inconsapevole — di tensioni, disallineamenti, bisogni inespressi o comunicazioni interrotte che attraversano la famiglia. In altre parole, il sintomo non è nel bambino o nell’adolescente, ma nella relazione, nel sistema, nel contesto.
Come ci racconta la dottoressa Cecilia Ferrari, psicologa e psicoterapeuta, che ogni giorno accoglie adolescenti e giovani adulti nel loro percorso di crescita e trasformazione, gli adolescenti sono messaggeri non colpevoli.
4. Quando tuo figlio porta alla luce un nodo relazionale
Prendere consapevolezza di questo meccanismo può essere difficile, perché implica un cambiamento radicale di prospettiva. Invece di cercare soluzioni rapide e mirate per correggere il comportamento del figlio, l’approccio sistemico invita i genitori a mettersi in gioco in prima persona. Non per colpevolizzarsi, ma per iniziare un percorso di maggiore consapevolezza:
Quali dinamiche stanno influenzando il benessere di mio figlio?
Che cosa ci sta comunicando attraverso quel comportamento?
Quali aspetti della nostra relazione familiare potrebbero avere bisogno di attenzione?
È su questo terreno che il coaching genitoriale, come anche l’intervento psicoterapeutico sistemico, può portare un contributo enorme: non si lavora solo sull’adolescente, ma anche con i genitori, affinché possano diventare figure più consapevoli, coerenti, presenti, capaci di interpretare ciò che sta accadendo non come un fallimento, ma come un’opportunità di crescita.
5. Ne ho parlato con la dottoressa Cecilia Ferrari
Questo tema è stato al centro del mio recente scambio con la dottoressa Cecilia Ferrari, psicologa e psicoterapeuta, che ogni giorno accoglie adolescenti e giovani adulti nel loro percorso di crescita e trasformazione.
Durante la puntata del podcast Adolescenza Consapevole, Cecilia ha offerto una riflessione preziosa:
“I nostri figli non sono rotti. Sono spesso ambasciatori silenziosi di una sofferenza che non hanno scelto, ma che portano sulle spalle come portavoce affettuosi, nel tentativo — a volte scomodo — di riportare equilibrio."
6. Guardare oltre il sintomo, per cambiare insieme
Quando un figlio “non funziona”, il rischio è quello di guardarlo con occhi carichi di preoccupazione, giudizio o sfiducia. Ma la psicologia sistemica ci invita a fare un passo diverso: non isolare il sintomo, ma accoglierlo come messaggio, come punto di accesso a un lavoro più ampio e profondo.Un figlio che sta male non è una parte da aggiustare. È una chiamata alla trasformazione dell’intero sistema familiare.
È da lì che inizia il vero cambiamento.
Se in questo momento tuo figlio o tua figlia è in terapia, oppure se ti ritrovi spesso a pensare che il problema siano loro, può essere molto utile — e anche profondamente trasformativo — fermarsi un attimo e rivolgere lo sguardo altrove.O meglio: rivolgerlo dentro.
Perché ogni disagio che emerge in una relazione — soprattutto nella relazione con i figli — è un invito.Un invito a esplorare la propria interiorità,a fare luce su ciò che ci abita,a scoprire parti di sé che abbiamo forse trascurato,a conoscerci meglio nelle reazioni, nei bisogni, nelle ferite,a intraprendere un viaggio dentro di sé che non è mai egoistico, ma relazionale.Perché più ci conosciamo, più possiamo essere presenti, autentici, affidabili.Più portiamo consapevolezza in ciò che siamo e in ciò che facciamo, più diventiamo genitori capaci di ascoltare davvero — senza proiettare, senza giudicare, senza reagire per automatismi — ma semplicemente essendoci, con la nostra umanità intera.
Non è facile, ma è possibile.E se senti che è il momento giusto, io sono qui per accompagnarti.
7. Fonti e approfondimenti
Cecilia Ferrari e Gianluca Marchesini (2025) Adolescenza 3.0. Interpretare la crisi, curare il disagio
Sito web della dott.ssa Cecilia Ferrari, psicoterapeuta → https://www.ceciliaferrari.it
Approfondimento sul concetto di sistema familiare → https://www.apat.it/articolo/teoria-sistemico-relazionale
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